Secondo gli studi più recenti, ogni giorno passiamo più di quattro ore in compagnia del nostro smartphone: oltre un giorno intero ogni settimana.
L’attività con la quale ci intratteniamo maggiormente è l’utilizzo dei social media, e in particolare la condivisione istantanea di contenuti pubblici e privati. Ma quali rischi si nascondono dietro ai continui log in, alle registrazioni, alla cessione di dati e documenti personali a servizi privati?
Sono alcune delle questioni che si sono posti Pietro Calorio e Pietro Jarre, rispettivamente fondatori di Sloweb e eMemory, due realtà che si prefiggono di tutelare gli utenti senza diffondere allarmismi, ma promuovendo invece l’uso responsabile degli strumenti informatici, del web e delle applicazioni Internet.
Come? Attraverso una consistente attività di informazione, educazione e lotta agli usi impropri del web e la fornitura di servizi più etici e rispettosi della privacy e del tempo di chi li utilizza. Abbiamo fatto con loro una lunga e interessante chiacchierata.
SJ: La tutela della privacy è una delle principali problematiche legate all’uso del web e in particolare dei social network. Come si pone Sloweb nei confronti di questo tema, e quali soluzioni propone?
Pietro Calorio: Per diffondere usi della rete rispettosi dei diritti, della libertà e delle dignità dell’individuo, Sloweb organizza e promuove corsi, convegni e pubblicazioni utili a fornire alle persone strumenti per comprendere ciò che accade ai dati e ai contenuti immessi nel web e sui social network. Combatte per la privacy, credendo nel fatto che gli unici veri custodi della nostra privacy siamo noi stessi.
Vorremmo andare alla radice della questione incoraggiando le persone a ridurre, proteggere, selezionare e cancellare i propri dati personali, e gestire la propria eredità digitale. Incoraggiamo inoltre comportamenti volti a non moltiplicare, sprecare, ed “espropriare” l’individuo dei dati personali. L’obiettivo è quello di una gestione ecologica dei dati digitali.
SJ: Che cosa s'intende per "gestione ecologica dei dati digitali"?
Pietro Jarre: L’idea è quella di ridurre l’uso consumistico dei dati digitali verso cui ci sta portando un utilizzo irresponsabile della tecnologia digitale. Il problema, come sempre, non è la tecnologia in sé, ma l’uso che ne facciamo – o meglio che siamo indotti a farne dai modelli di business dell’industria dominante.
Servirsi di strumenti digitali è diventata ormai una sorta di coercizione: è inconcepibile non possedere e non portare sempre con sé uno smartphone, e quasi disdicevole non saper smanettare su Internet. Allo stesso modo, la massiva diffusione dei social network ha reso la condivisione compulsiva, e addirittura più importante del contenuto che si condivide: nel momento in cui veniamo a contatto con un dato – buono o cattivo che sia – non lo analizziamo, approfondiamo, selezioniamo, ma pensiamo prima a condividerlo. Così facendo, consumiamo il nostro tempo e, in un certo senso, ne “rubiamo” agli altri: l’esperienza digitale finisce dunque per occupare ogni nostro momento, persino le attese e i tempi morti.
SJ: Quali sono le ricadute negative di questo fenomeno?
Pietro Jarre: Le conseguenze sono sotto i nostri occhi: agli strumenti digitali deleghiamo la memoria. Non soltanto quella dei numeri di telefono, ma anche quella dei nostri ricordi personali - immagini, impressioni, sensazioni, appunti e opinioni - spesso istantaneamente condivisi sui social network con la conseguente perdita dell’intimità e della privacy. Così facendo, non ci concediamo più nemmeno il “tempo del racconto”, quello che ci permette di rielaborare dati e accadimenti e di trovare il modo migliore per condividerli con qualcuno.
Lo stesso modello che ci spinge a fare tutto in fretta per indurci a comprare, consumare e accettare, finisce per essere applicato alle nostre vite. Dobbiamo invece riappropriarci del diritto a una mente lenta e riflessiva, che sfrutta una tecnologia veloce anziché esserne sfruttata.
Riconquistare il nostro tempo è la vera sfida che il futuro ci pone, e la nostra risposta è nello stimolo alla discussione, nella creazione di uno spazio di riflessione e di un movimento di opinione e di azione.
La pratica dell’uso ecologico dei dati porta alla riduzione della massa di dati sterili, all’emergere dei dati fertili, a un miglior uso del nostro tempo e dello spazio digitale.