L’altro spazio è il film-documentario di Marcello Pastonesi e Carlo Furgeri Gilbert voluto da Mario Cucinella, architetto e curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Architettura 2018 in corso a Venezia. Il tema di questa edizione è “Freespace” e mette l’accento sulla dimensione pubblica che ha ogni architettura per il fatto di diventare paesaggio.
Il punto è la relazione fra architettura e territorio, un territorio fatto di persone, particolarmente interessante se applicato all’Italia, con la sua varietà di situazioni che intrecciano le caratteristiche specifiche degli spazi e storie umane radicate nei secoli. La scelta è quella di allontanarsi dalle direttrici di transito più comuni, che legano le grandi città, e, partendo da Venezia, inoltrarsi nei luoghi più difficili, fra montagne e isole. Il punto di vista dell’architettura parla con le immagini del documentario di Pastonesi e Furgeri Gilbert, prodotto da Someone con Rai Cinema e in proiezione quotidiana alla Biennale. Ne abbiamo parlato con loro.
L'Altro Spazio è un viaggio lungo l'Italia lontana dai riflettori, è in qualche modo anche un viaggio nel tempo?
MP: In parte sì, perchè è un viaggio alla ricerca di tradizioni, usanze, modi di fare, costruire, gestire il territorio e la natura.
CFG: È un viaggio nel tempo ma non vuole essere un viaggio della memoria o del compiacimento. È un viaggio che solleva questioni, che pone domande, come ogni viaggio dovrebbe fare. Abbiamo attraversato territori e incontrato persone che solo apparentemente vivono in un altro tempo. Sono molto collegati al mondo, sanno quello che succede fuori. Questi territori hanno un potenziale enorme. Sono di fatto la culla del DNA della cultura italiana. Si tratta di capire come creare le condizioni perché si sviluppino e si rilancino, evitandone lo spopolamento e il degrado.
Con cosa identificano e riconoscono i luoghi le persone che li abitano? La natura, i profili delle case, gli odori, i colori?
MP: Le persone che abbiamo incontrato hanno un'idea ben chiara di cosa siano le città e le periferie, molto spesso ci hanno abitato e lavorato. Sono attaccati ai loro luoghi con cognizione di causa, non perché ne siano "spaventati". Sono attaccati ai luoghi e come ci si vive. Sono attaccati all'idea di comunità.La comunità nelle aree interne funge da ammortizzatore sociale, da educatore, da baby-sitter, tramanda le storie, il sapere e i mestieri. E la difendono.
Prendi Orgosolo per esempio. Li ci hanno raccontato con orgoglio come sono riusciti a opporsi alla costruzione di una base militare americana.
La diffidenza delle persone nasce anche dall'aver visto la propria terra subire danni da parte dell'industrializzazione.Costruzione di fabbriche, con la promessa di rilancio economico, posti di lavoro, e poi invece l'abbandono, danni ambientali e a volte anche danni alla salute delle persone.