Made In Italy: un marchio di significato, da sempre sinonimo di qualità dei materiali e della fattura. Perché, allora, non appropriarsi del concetto, creando altrove un brand dalle connotazioni analoghe? È quello che, negli ultimi tempi, sta facendo un forte movimento in Gran Bretagna, allo scopo di riportare in auge realtà di produzione locali che rischiano altrimenti di scomparire nel nulla, fagocitate dalla macchina del fast fashion.
E se Made In Britain non fa pensare immediatamente a quello stile innato e senza tempo che la moda italiana vanta, quando si tratta di tessitura la qualità è fuori discussione. D’altronde, la storia ci insegna che la rivoluzione industriale è scoppiata proprio nel nord dell’Inghilterra, grazie all'automatizzazione (fra le altre cose) dei telai. La lana delle British Islands è pregiatissima. E i tessuti che ne derivano, dal tartan al tweed, sono veri classici.
Perdere tutto questo sarebbe impensabile per qualcuno come Daniel Harris, il giovane e visionario fondatore della London Cloth Company, il primo (e finora unico) micro-mill con sede a Londra. È ovvio che Daniel lavora per passione: basti sentirlo raccontare la sua storia per capire quanti ostacoli affronta quotidianamente per produrre pochi metri di tessuto alla settimana. Perché, tanto per iniziare, li produce su telai vintage, che raccoglie pezzo per pezzo in giro per tutta la Gran Bretagna, salvandoli spesso dall’arrugginimento nel fienile di isolate fattorie, accumulando negli anni un piccolo arsenale di macchinari e pezzi di ricambio tutti decisamente fuori catalogo. E poi, perché lavora solo con lane locali – spesso difficili da reperire in quantità e qualità costanti, e sempre a prezzi proibitivi.
Eppure, il risultato è un catalogo di tessuti classici ma decisamente senza tempo. Seppure entrare nella sala dei telai sia come fare un passo indietro nella storia (incluso lo stile personale di Daniel, che veste come un personaggio di Downton Abbey), sono piccole realtà come London Cloth the stanno dando speranza al futuro del Made In Britain. Il Made In Italy non ne ha paura: al contrario, ci piace pensare che anche nel resto d’Europa c’è chi lavora per una nuova rivoluzione - la rivoluzione Slow.
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