Ogni pianta ha i suoi impollinatori. Può capitarci di vedere delle ali sbattere attorno al fiore lilla della buddleja, una specie himalayana tipica dei giardini inglesi che attrae un gran numero di insetti. Ma tante sono “erbacce”. Crescono agli angoli dimenticati delle nostre vite. Nascondono i passaggi e rinverdiscono muri d’orto: trifoglio, malva, plantago che non solo danno nettare e polline ma costituiscono per le farfalle “piante nutrici” su cui deporre le uova.
«Nella nostra cultura le erbacce sono trascuratezza, focolai di parassiti e rischi per la sicurezza», spiega Simona Bonelli, docente del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino e responsabile del progetto Progireg che analizza l’uso della natura per la rigenerazione urbana.
«Nei campi (a volte) usiamo erbicidi per combattere le malerbe che crescono con il grano e in città. Ma come facciamo male alle piante non desiderate, così facciamo agli insetti e, in definitiva, a noi stessi. E, invece, dove le lasciamo crescere in maniera un po’ disordinata, lì troviamo la vita, colorata e multiforme».
Le aiuole incolte sono banchetto per api e farfalle. E, così, il celebre macaone si posa sul finocchietto selvatico, e la ninfa del corbezzolo sull’essenza che le dà il nome.Progettare una città viva significa seguire una prospettiva diversa da quella tradizionale dei nostri giardini, passare dalle specie “belle”, cambiandone i parametri, alle “funzionali”.
«Spesso scegliamo piante come Prunus ornamentali e Lagerstroemia a fiori “doppi”, che non producono né nettare né polline, a differenza delle varietà a fiori semplici», spiega Monica Vercelli, ricercatrice esperta di api da miele e altri apoidei e flora utile agli insetti impollinatori.
«Un conto è l’arredo urbano (estetico) e un conto è la natura. Piano piano, però, stiamo iniziando a pensare il verde anche come il teatro di una rete». Una rete chiamata “trofica”: basata, cioè, su equilibri alimentari che legano tra loro tutti gli organismi. In una passeggiata tra vivai vediamo che anche loro cambiano e propongono più piante autoctone con fiori che rispondono a un senso estetico diverso, “discreto”.
«Per avere giardini e balconi popolati da farfalle e api possiamo piantare la lavanda e le altre aromatiche di cui gli impollinatori sono ghiotti, come timo, origano e rosmarino», spiega Simona Bonelli. «Asteracee come la margherita, Bellis perennis (o pratolina), le centauree come il fiordaliso stoppione e quello stellato, e le ombrellifere come il finocchietto selvatico». Non solo. «Interriamo in uno stesso vaso specie con fiori di varie forme e colori che si rafforzano le une con le altre e, insieme, attraggono impollinatori vari durante l’intera stagione di volo», aggiunge Vercelli. «Unire l’elleboro che fiorisce in inverno alla salvia dei prati, che fiorisce in primavera e in autunno».
Le città sono ancora barriere di separazione e vi si trovano le farfalle più comuni: in Italia volano macaoni, cavolaie e poliommati. Stessa cosa per le api: si trovano più facilmente api da miele e bombi. «Tutti possono contribuire con il proprio balcone», commenta ancora Bonelli. «L’importante è creare aree verdi comunicanti che fungano da corridoi ecologici, non isole di fiori difficili da raggiungere perché non a portata di battito d’ali».
In montagna, poi, «spesso vediamo case coperte di un geranio particolare, il pelargonio, che arriva dal Sudafrica», spiega Bonelli. «E che da qui porta con sé un licenide, una piccola farfalla, che distrugge i fiori e infesta ciò che trova. Abbiamo seguito il caso di due parchi alpini in difficoltà e abbiamo proposto un cambio con le surfinie».
Il trucco è diversificare. Non banalizzare e pensare locale. E prendersi cura (con responsabilità) del piccolo Eden creato. Interriamo specie officinali arbustive come il corbezzolo lungo le coste della Liguria, di Sicilia e Sardegna. E biancospino, rosa canina, more, lampone, ligustro in giardini più freddi. Basta ricordarsi di consultare gli atlanti delle piante locali. Qualche animaletto, di sicuro, attirano.