Il cambiamento climatico sposterà ad altre latitudini il piacere di vivere al 45° parallelo? Per la climatologa la risposta passa da adattamento e mitigazione.

Ci stiamo raccontando la bellezza e, in qualche maniera, il privilegio di vivere sul 45° parallelo, che da sempre è caratterizzato da un clima mite, temperato, senza sgradevoli picchi meteorologici. Almeno, in linea di massima, visto che si parla dell’intero giro del pianeta, ma soprattutto perché la cronaca meteorologica sta cominciando a raccontarci una situazione diversa. I cambiamenti globali manterranno il 45° parallelo una fascia climatica privilegiata? La risposta la può dare la scienza, perciò Slowear ha interpellato Serena Giacomin, fisica, climatologa e presidente dell’Italian Climate Network, associazione observer presso l'UNFCCC, United Nations Framework Convention on Climate Change.

Le zone climatiche del mondo stanno cambiando: arriveremo a dover ridisegnare le mappe?


S.G.: L’errore è declinare il cambiamento al futuro: dobbiamo parlare al presente, il clima è già cambiato. Le estremizzazioni si stanno già manifestando, lo dicono tutti i dati di cui la comunità internazionale dispone. Ora la sfida sta non solo nel continuare ad analizzare i vari cambiamenti che stanno accadendo su scala planetaria, ma soprattutto usare questi dati come strumenti per accelerare l’adattamento delle varie zone del pianeta.

Quindi, cosa dobbiamo fare, secondo la scienza?

S.G.: Difenderci e quindi attaccare il problema. L’adattamento è la difesa, l’attacco sono tutte le azioni di mitigazione delle emissioni. Bisogna stare attenti a non confinare il problema in ambiti che ci riguardano solo in parte: tutte le attività umane sono legate al clima. Dalla quotidianità alle più complesse attività economiche. Tutte, ma proprio tutte le nostre abitudini subiscono il cambiamento. Considerare il tema climatico puramente ambientale ed etico vuol dire non centrare completamente la questione, perché riguarda trasversalmente le nostre attività. Qualche esempio pratico? Pensiamo all’impatto sulle malattie o il proliferare di parassiti e quindi i relativi costi della Sanità. Oppure all’impatto sulla sfera dei diritti umani per i Paesi in via di sviluppo più esposti al cambiamento.

Torniamo sul 45° parallelo. Che cosa dobbiamo attenderci nel 2050: avremo ancora la vite o dovremo attenderci una modifica delle caratteristiche principali anche dell’agricoltura? Gli enologi ci stanno già raccontando che la vendemmia comincia con un mese di anticipo, rispetto a 20 anni fa.

S.G.: Be’, fare un ragionamento allargato su tutto il parallelo è impossibile, visto che cambia in modo significativo da una parte all’altra del mondo. Se ci limitiamo al Mediterraneo, come dicevo, i dati li abbiamo già tutti. Il Report AR6 dell’IPCC lo individua da anni come un hot spot. La sua conformazione comporta un riscaldamento sempre più rapido con una maggior salinizzazione, con tutto quello che significa, tra le altre cose, per l’equilibrio della biodiversità.
Né si può trascurare che siamo a Nord del continente africano, il cui anticiclone fa sempre più di frequente breccia. Le punte di 48° C toccate in Europa non sono normali.

L’obiezione è che d’estate è normale che faccia caldo.

S.G.: No, non è normale se registriamo 10 o 12° C in più della media estiva mediterranea. Sminuire la portata del problema significa non allertare la cittadinanza sul suo vero impatto: si pensi a quello sanitario di giornate in cui il termometro non scende sotto i 35° C neanche di notte per la popolazione più anziana o per i bambini sotto i 5 anni.

Eppure, c’è tutta una corrente di pensiero, che trova ampio spazio sui media, secondo cui stiamo vivendo un normale ciclo climatico. Come lo spieghi?

S.G.: Non me lo spiego del tutto, perché i dati ci sono e sono inconfutabili. Le opinioni restano opinioni, mentre la scienza è scienza. Qualcuno teme che accettare il cambiamento climatico possa avere un impatto negativo sull’economia. Altro errore: la tecnologia nel campo della transizione ecologica ordinata offre più opportunità economiche che rischi. Certo, cambiare non è facile, ma da climatologa posso dire che a rimandare si ottiene solo una cosa: peggiorare la situazione. Sono 50 anni che parliamo, è ora di agire.

Hai un figlio piccolo, qual è il tuo sentiment verso il suo futuro?

S.G.: Mi stai chiedendo se sono preoccupata? Certo che lo sono, e vorrei potergli dare una visione più positiva e ottimistica. Per quel che mi riguarda, cercherò di aiutarlo a crescere con una consapevolezza che gli regali agilità nelle decisioni. Però, per il momento, il futuro certamente dipende da noi, ma anche da chi deve prendere le decisioni e mi piace vedere che si è innestato un meccanismo collettivo di reazione propositiva. Litigare non serve, bisogna adattarsi e mitigare le emissioni. Difendersi e attaccare.