Mantova è tra i gioielli italiani meno conosciuti all’estero, eppure è una città straordinaria, capace di offrire storia, natura e gastronomia, tutto ad altissimo livello. Come scrisse Torquato Tasso (uno dei tanti artisti che qui lasciarono un segno col Pisanello, Mantegna, Giulio Romano, Rubens, Monteverdi): «Questa è una splendida città, degna c'un si muova mille miglia per vederla». Dal luglio 2008 è stata accolta, con la vicina Sabbioneta, fra i Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO.
Intanto, e questo non lo sa neppure la maggioranza degli italiani, è costruita intorno a tre laghi alimentati dal fiume Mincio, chiamati semplicemente Lago Superiore, Inferiore e di Mezzo. Forse è proprio via acqua il modo migliore per avvicinarsi alla città lombarda, che poi non tarderà a svelare le sue bellezze d’arte e d’architettura.
Nonostante il caldo e l’umidità tipicamente padana, vale la pena visitare Mantova anche a luglio o agosto, quando sul Lago Superiore fioriscono migliaia di fiori di loto. Come mai fiori originari del Sudest asiatico nella Pianura Padana? Il fiore di loto è stato introdotto nel Lago Superiore nel 1921, da una giovane studentessa di scienze naturali, Maria Pellegreffi, che dall'Università di Parma portò alcuni rizomi di Nelumbium ottenuti da missionari italiani in Cina. Da allora i petali rosa, anno dopo anno, hanno sottratto spazio alle ninfee autoctone e sono diventati il simbolo della città dei Gonzaga e di alcuni scorci del Mincio.
Il percorso in battello con i Barcaioli del Mincio (barcaioli@fiumemincio.it) dura un paio ore, al costo di circa 10 euro. Le imbarcazioni sono eco-sostenibili e attrezzate per il trasporto delle persone con disabilità e per quello delle biciclette.
Palazzo Ducale
Cuore e simbolo di Mantova, Palazzo Ducale si sviluppa tra piazza Sordello (l'antica piazza di San Pietro) e il Lago Inferiore. Trova forma organica nella prima metà del XVI secolo, quando diviene un unico, grandioso complesso architettonico corrispondente al più antico quartiere cittadino. La famiglia Gonzaga vi risiede dal 1328 al 1707, quando tacciato di fellonia l'ultimo duca Ferdinando Carlo è costretto all'esilio. Il 2 aprile di quell’anno la Casa d’Austria rivendica il diretto dominio del Ducato mantovano e inizia il governatorato degli Asburgo.
Il Palazzo conta più di mille stanze e giardini, cortili, logge, magazzini, cantine, accatastati nei secoli fino a costituire un elemento unico di 35 mila metri quadrati, sesta reggia più estesa in Europa dopo i palazzi del Vaticano, il Palazzo del Louvre, la Reggia di Versailles, la Reggia di Caserta e il Castello di Fontainebleau.
Palazzo Te e la Camera dei Giganti
Sgombriamo subito l’equivoco: il Palazzo non c’entra nulla con l’omonima bevanda ambrata. Delle varie interpretazioni sul nome, la più attendibile è che in origine sorgesse all'intersezione di due strade a «T», divenuta poi «Te» per ragioni eufoniche. Oppure che sia la derivazione da «tejetus», ovvero località dove sorgevano le tipiche capanne con il tetto di paglia, dette «teze».
Fatto sta che Federico II Gonzaga volle trasformare le antiche scuderie di famiglia in una sgargiante villa di rappresentanza per i suoi sontuosi ricevimenti, nonché per i segreti convegni amorosi con Isabella Boschetti. Il risultato è un vanto dell’architettura italiana, capace di ospitare l’energica Camera dei Giganti, opera di Giulio Romano, che narra senza limiti spaziali la vicenda della Caduta dei Giganti, tratta dalle «Metamorfosi» di Ovidio. La scena è fissata nel momento in cui dal cielo si scatena la vendetta divina e dal vivo è di una potenza stordente, perché Giulio Romano ha eliminato ogni stacco tra i piani orizzontale e verticale, ha smussato gli angoli tra le pareti e quelli tra queste e la volta dove domina uno Zeus pronto a scagliare le sue saette.