SJ: Mobili, tessuti, carta da parati, tappezzeria e sculture: il suo è un talento decisamente multiforme. Ma gli esordi sono pur sempre da studente di arte e design: quali sono i suoi pittori e architetti preferiti?
AH: La lista è lunga, lunghissima. Ci sono i grandi eroi del Rinascimento, Francesco di Giorgio Martini, Mantegna, Giulio Romano; poi gli architetti, in particolare Borromini, Vanbrugh, Robert Adam, Ledoux e Sir John Soane; e artisti come Blake, Füssli (il maestro della capigliatura erotica!) Sickert e Vuillard. Ne sono completamente ossessionato – e, devo confessarlo, sono molto più interessato a loro che agli artisti contemporanei, anche se non dovrei dirlo!
SJ: Suo padre David è considerato uno dei più importanti interior designer della seconda metà del Novecento. Si è mai sentito sopraffatto da una così grande eredità?
AH: Non esattamente sopraffatto, ma di certo la sua è stata sempre una presenza importante nella mia vita, forse soltanto un po’ meno da quando se n’è andato, 19 anni fa. Ho lavorato con lui per un breve periodo ma senza grandi soddisfazioni, e questo non ha migliorato le cose. Da bambino però che mi ha insegnato tanto – a guardare le cose con occhio critico e interessato, a studiare gli stili storici e le origini (nei musei e nelle collezioni d’arte, ma anche in relazione alle correnti architettoniche) e a disegnare. Ricordo distintamente i suoi tentativi d’insegnarmi la prospettiva su un yacht in Grecia, e come disegnare gli alberi in un campo in Inghilterra. Da quando è morto ho fatto di tutto per tenere alta la sua reputazione, e ho valorizzato la sua eredità attraverso le collezioni di carta da parati, stoffe e tappeti David Hicks by Ashley Hicks; allo stesso tempo, ho cercato con determinazione di creare interni e prodotti con il mio stile personale, molto diverso dal suo. A me piace creare ambienti complessi, rilassanti e confortevoli che suggeriscano con discrezione un determinato stato d’animo, mentre le stanze disegnate da mio padre erano tipicamente ardite, formali, grafiche, puri esercizi il cui scopo era quello di rendere un interno perfettamente fotogenico. In altre parole, il mio stile lo avrebbe infastidito, ma resto comunque il primo a riconoscere che era un genio assoluto.
SJ: Può parlarci di qualche suo progetto che lo rende particolarmente orgoglioso?
AH: In genere apprezzo maggiormente le cose più recenti che ho fatto. Per l’ultima edizione del Fuorisalone a Milano, in collaborazione con la rivista di interior design Cabana Magazine, ho realizzato una serie delle mie sculture ‘Mini-Totem’ in vivaci colori rinascimentali per il soggiorno rivestito della Casa degli Atellani; e anche l’allestimento di una stanza con oggetti in Corian disegnati da me – degli obelischi e uno scrittoio – un finto “collector’s cabinet” (una serie di mie foto di tesori custoditi presso vari musei racchiuse all’interno di una finta vetrina e stampate con sovrimpressione di riflessi di Versailles) e due paravento di tela sui quali ho dipinto degli enormi tulipani a monocromo.
SJ: Che cosa pensa dei grandi designer che collaborano con i brand di mass market?
AH: Prendo sempre volentieri in considerazione le collaborazioni, che siano con marchi di livello alto, intermedio o anche basso. Considerare, ovviamente, non significa necessariamente impegnarsi, ma ritengo che nel portfolio di un designer ci sia posto per ogni genere di prodotto, e che la stessa mano possa lavorare a collezioni lussuose così come a collezioni più semplici, senza che le une danneggino le altre. La qualità e il dettaglio della fattura, il valore dei materiali utilizzati e, naturalmente, la quantità prodotta, sono tutti elementi che contribuiscono a differenziare molto chiaramente i prezzi e la distribuzione, facendo in modo che un tipo di produzione non vada a discapito dell’altra.