Chiunque abbia un pezzo originale di Romeo Gigli nel suo guardaroba se lo tiene ben stretto. E probabilmente riesce ancora a portarlo, perché sebbene sia stato disegnato venti o magari trent’anni fa, è ancora perfettamente moderno e plausibile.
Ed è proprio questo disegno assoluto, questa qualità atemporale a fare di Gigli un unicum nella storia della moda italiana, anche se dal 2004 tutto ciò che esce sotto la sua griffe, passata in altre mani, non ha più nulla a che vedere con lo stilista romagnolo, che a causa di varie vicende societarie non può utilizzare il proprio nome per firmare i suoi progetti.
Una vicenda che ha dell’incredibile ma che, in fondo, non ha scoraggiato questo colto signore cresciuto nel grembo di una nobile famiglia romagnola nell’Italia degli anni Sessanta fra libri antichi, musica e abiti su misura, approdato alla moda quasi per caso con un bagaglio di conoscenze, viaggi ed esperienze da tradurre in segni, visioni e creazioni dense di contenuti. Consacrato all’Olimpo dei grandi stilisti dalla celebre sfilata parigina del 1988, accolta da una lunghissima standing ovation, Gigli ha vissuto da protagonista una delle stagioni d’oro della moda italiana e internazionale, sempre libero, senza mai piegarsi a logiche di mercato e con il candore giusto per andare controcorrente non per provocare, ma semplicemente per affermare la sua immagine di donna e la sua visione creativa.
Oggi Romeo Gigli continua a disegnare, insegnare e collaborare con il mondo della musica e della cultura, come ha sempre fatto. Fra le sue ultime collaborazioni ci sono la collezione di abiti da sera Eggs, realizzata proprio quest’anno con Giordano Ollari, titolare e buyer del multibrand ‘O, e i costumi per il Don Giovanni di Mozart con le scenografie di Barnaba Fornasetti (2017).
Ecco che cosa ci ha raccontato della sua storia, del suo lavoro e dell’industria della moda.
Cresciuto in una famiglia di antiquari librai, ha studiato architettura e solo dopo è approdato alla moda. Come ha influenzato il suo lavoro questa formazione così profonda e composita?
RG: Fino all’età di 19 anni, oltre agli studi classici, sono stato educato per diventare libraio antiquario. Mio padre aveva una biblioteca di libri antichi che consultavo molto spesso e ho avuto l’occasione di vedere immagini e incisioni straordinarie di volumi del 1500, 1600 e 1700. Poi mi sono iscritto ad architettura, ma non ho terminato gli studi a causa della morte dei miei genitori, uno shock davvero importante. Allora ho deciso di mettermi in viaggio e l’ho fatto per dieci anni, in tutto il mondo: Asia, Sudamerica, estremo Oriente. Essendo un collezionista, ho raccolto artigianato, costumi, materiali, tappeti e sculture. Mandavo interi container in Italia, e tutti questi elementi hanno dato vita a un grande melting pot che ha certamente contribuito ad arricchire il mio immaginario.
La moda oscilla sempre fra esaltazione della forma e l'esplosione del decoro. Come ha trovato un punto di equilibrio fra questi due elementi? E fra taglio e decoro cosa pensa sia più importante?
RG: La forma è importantissima. Quando ho cominciato a disegnare le mie prime collezioni, per me la cosa più importante era trovare delle forme che fossero senza tempo. A distanza di molti anni - la mia prima collezione è del 1983 – capita che le persone mi fermino per strada per dirmi che conservano i miei abiti perché sono ancora belli e contemporanei.