Nel parco della reggia sabauda di Venaria Reale, alle porte di Torino, si imparano i segreti per far crescere e prosperare un giardino storico

di Cristina Manfredi

Se passate dal Nord Italia e amate il verde, mettete nella vostra road map i giardini della Reggia di Venaria Reale. A pochi chilometri dal centro di Torino, e facilmente raggiungibile anche con i mezzi pubblici, sorge quella che nel Seicento era nata come base per le battute di caccia degli allora Duchi di Savoia, per poi trasformarsi durante il Settecento in sfarzosa residenza della famiglia nel frattempo assurta al rango di re di Sicilia e di Sardegna, prima di prendere lo scettro del Regno d’Italia formatosi nel 1861.

Grandi architetti avevano impresso la propria cifra sugli edifici (uno su tutti, Filippo Juvarra) e la stessa magnificenza era stata riservata al verde circostante, altrettanto strategico nel trasmettere al mondo la potenza e raffinatezza dei Savoia, finché con l’ottocentesca dominazione napoleonica era iniziato il declino. L’esercito di Bonaparte distrugge i giardini per ricavarne una piazza d’armi, dopo di che il complesso diventa una parte del Regio Demanio Miltare, rimanendo sede di organismi militari fino agli anni ‘30 del Novecento.

Con la Seconda Guerra Mondiale lo stato d’abbandono e i ripetuti atti vandalici sembrano condannare la reggia e i suoi giardini all’oblio ed è solo nel 1999 che, grazie un accordo tra il Ministero dei Beni Culturali, la Regione Piemonte, il Comune di Torino e i Comuni di Venaria Reale e Druento prendono il via dei complessi lavori di restauro.

Otto anni dopo reggia e giardini vengono restituiti al pubblico e per ciò che concerne il verde, quello è solo l’inizio di un percorso di rinascita strettamente legato alle competenze di chi se ne prende cura. Occuparsi di un giardino storico significa non solo seminare, irrigare, potare: fondamentale è la capacità di interpretarne la storia e porla in dialogo con il presente. Per questo installazioni contemporanee, come quelle degli artisti Giuseppe Peone e Giovanni Anselmo, si affiancano a riferimenti antichi. Ed è proprio tra quegli 800mila metri quadrati di boschi e giardini che dal 2015 si tiene un corso di formazione dedicato a giardinieri d’arte per giardini e parchi storici. Un unicum nel panorama italiano e non solo, come racconta Chiara Teolato, direttrice del Consorzio Residenze Reali Sabaude, insieme ad Alessia Bellone, responsabile Conservazione e Manutenzione Giardini.

Direttrice Teolato, qual è il senso di un percorso formativo così specifico?
CT: Chi intraprende questi studi deve avere almeno un diploma in agraria, ma non basta essere esperti di piante per occuparsi di realtà complesse come quella di Venaria. Uno degli aspetti più interessanti del corso sta nel fornire competenze che poi vanno messe a sistema nelle varie residenze sabaude. Questo consente di avere una stessa regia, uno stesso grado di attenzione e competenza per giardini che, di fatto, lo richiedono. E credo sia importante sottolineare un’altra peculiarità, è il solo corso di questo genere in italia a essere gratuito per i circa 30 studenti selezionati. Per prendervi parte, bisogna partecipare al bando promosso dalla Regione Piemonte, da cui ora stiamo aspettando i dettagli per il 2025.

Alessia Bellone, ma cosa s’insegna di diverso rispetto ad altri corsi per giardinieri?
AB: Nelle 800 ore annuali previste, si affrontano aspetti tecnici, come la comprensione dei diversi suoli, le tematiche di sostenibilità ambientale, la manutenzione di un vivaio, dei macchinari e l’utilizzo di certe attrezzature, ma poi c’è tutta una parte di studio di storia e architettura dei giardini. Al di là della pura botanica, questi moduli, affidati a docenti universitari, guidano gli studenti nell’identificare le differenze tra giardini all’italiana, all’inglese, alla francese, Ma soprattutto li aiutano a orientarsi nella lettura di disegni storici.

In che senso?
AB: Per definire la corretta altezza di una pianta, la volumetria, il livello di potatura rispetto al passato bisogna per forza affidarsi all’iconografia dell’epoca. A seconda di come veniva rappresentata l’ombra di un albero, per esempio, si possono dedurre molte informazioni se si possiede la giusta chiave interpretativa. E sempre da quelle fonti si arriva anche a capire la differenza tra il giardino di un duca e quello di un re, perché nel momento in cui il rango dei Savoia si è innalzato, anche i loro parchi dovevano adeguarsi.

Che prospettive hanno gli studenti una volta completato il corso?
AB: Non tutti vengono assorbiti dal consorzio delle residenze sabaude, alcuni trovano una collocazione in aziende del settore, oppure entrano nel team di altri giardini storici, come una ex alunna che ora ricopre un incarico di rilievo all’interno del parco della reggia di Versailles. A tutt’oggi il consorzio può contare su 22 giardinieri, suddivisi in tre squadre che tutti giorni sono presenti nei parchi. Solo con un intervento costante si possono ottenere certi risultati.

Per chi non ha ambizioni di frequentare il corso ma vuole esplorare il verde della reggia, avete qualche suggerimento da dare?
CT: La fioritura de viale dei ciliegi dura una sola settimana di solito durante il mese di marzo ed è un momento molto emozionante per via dello scenario: con un solo colpo d’occhio lo sguardo abbraccia anche la catena delle Alpi in lontananza. Poi c’è il foliage autunnale e in quel periodo consiglio di estendere la visita anche a Villa Regina, sulla collina di Superga, dove due maestosi ginko biloba si accendono di giallo, colorando la vista sulla città.

AB: Di solito nei mesi più fredddi si tende a concentrarsi sulla reggia, invece vale la pena di raggiungere l’area del tempio di Diana in novembre, per godersi una fioritura di graminacee che avviene solo in quel periodo dell’anno. Sono state piantate lì apposta per invogliare il pubblico ad avventurarsi nel parco nonostante il clima. Dallo stesso punto, se si punta verso la collina è possibile scorgere Villa Regina, le due residenze si intravvedono l’una con l’altra.