Progetta giardini per alberghi da sogno, spazi pubblici, residenze private di personaggi al top tra moda e finanza. Ma per Marco Bay il senso del suo lavoro è soprattutto uno: riavvicinare le persone a un’idea di natura che rischia di andare persa.
di Cristina Manfredi
Non chiamatelo paesaggista, quella parola non gli piace. E nemmeno landscape designer: «Sono milanese, possibile che si debba usare un’altra lingua per spiegare cosa faccio?». C’è solo una definizione in cui si riconosce Marco Bay: «Architetto che disegna con gli alberi». Se l’è inventata da solo e ci tiene a usarla perché è l’unica a tratteggiare appieno il senso del suo lavoro.
Dalla sua famiglia, baluardo della migliore tradizione culturale meneghina, ha ereditato la passione per i viaggi, l’arte e i giardini, oltre a un solido understatement che lo fa quasi imbarazzare quando gli si chiede di elencare i suoi lavori più importanti. È lui che una quindicina d’anni fa ha progettato il verde che abbraccia l’Hangar Bicocca, l’importante istituzione museale voluta dalla Fondazione Pirelli riconvertendo un ex spazio industriale nella periferia del capoluogo lombardo. Sempre in città, sua è la piantumazione di Piazza Duomo con palme e banani, controversa all’inizio, ma in realtà frutto di un attento studio della tradizione locale in fatto di aiuole di fine Ottocento e oggi perfettamente inserita nel panorama urbano. Per un importante gruppo di hôtellerie di lusso ha firmato i giardini di alcune tra le più celebri località turistiche italiane (per contratto, non può però rivelarne i nomi). Sempre sul fronte alberghi, un’altra icona dell’ospitalità italiana, il San Domenico a Taormina, deve a lui il verde di chiostri, giardini e terrazze e intanto sono appena iniziati i suoi interventi al cinquecentesco giardino Giusti di Verona, che saranno completati nei giro di un paio d’anni. Senza contare i grandi protagonisti del mondo della moda e della finanza che lo hanno chiamato per le proprie residenze private e di cui, da vero gentiluomo, non fa i nomi.
Che cosa significa oggi progettare un giardino?
MB: Sempre più spesso si tratta di avvicinare le persone a un’idea di natura che è andata persa. Ormai siamo così urbanizzati che spesso è difficile comprendere le dinamiche di un fiore o di una pianta. A volte mi sento chiedere di progettare un giardino che non attiri le vespe o raccolgo lamentele perché una pianta ha perso le foglie e così com’è non sta bene. Manca una conoscenza profonda delle stagioni e il mio compito è quello di riconciliare il pubblico con i ritmi lenti della natura, anche sfatando dei miti.
Per esempio?
MB: Quello del giardino sempreverde, che non ha senso. Al contrario, io voglio poter gioire ogni mese dei cambiamenti che avvengono, andare di volta in volta a vedere cosa è fiorito e cosa sta per farlo. Il mio compito è quello di incuriosire i miei committenti di fronte a un nuovo modo di vivere bene con la natura. Chi fa il mio mestiere deve preparare una scena sapendo giocare con il verde in maniera rispettosa.
E come si fa?
MB: Bisogna cercare dei significati oltre alla scena del giardino. Mi rifaccio qui ai precetti di quello che considero il mio primo maestro, Sir Geoffrey Jellicoe. Oltre a essere un esperto del settore, era un intellettuale di grande spessore, uno studioso del subconscio e della filosofia, interessato ai significati profondi che sottendono a un giardino. Per lui non si è mai trattato solo di soddisfare una richiesta pratica e nemmeno per me. I drammatici cambiamenti climatici ormai in atto ci impongono di educare e responsabilizzare le persone nei confronti della natura.
Già, il clima impazzito, come impatta sui suoi progetti?
MB: Da sempre dialogo con la natura circostante, non uso piante a sproposito e la mia formazione di architetto mi spinge a sfruttare gli spazi e i movimenti del terreno per dare vita a prospettive, scenari e colpi di scena in grado di integrarsi con tutto ciò che circonda il giardino in questione. Ora più che mai presto attenzione a selezionare piante resistenti alla scarsità di acqua e cerco di fare passare un altro concetto importante, il prato non è più verde.
In che senso?
MB: La crescente siccità ci impone di accettare che i prati siano gialli, oppure di sostituirli con la ghiaia. Non parlo di giardini aridi, ma di un elemento minerale da prediligere perché consente una semina semplice dei fiori al suo interno e trattiene al meglio l’umidità. Non possiamo fingere che il Pianeta non stia cambiando, perciò dobbiamo ragionare su progetti che richiedano poca acqua e manutenzione. E anche ricordarci di inserire i fiori giusti per attrarre farfalle e api, gravemente in pericolo a causa dell’eccessivo inquinamento. Il giardino ruffiano, fatto con le piante di tendenza è irragionevole.
Quindi anche nel settore ci sono i trend come nella moda?
MB: Sì, purtroppo ed è assurdo perché i giardini non durano una stagione, ma una vita e anzi, una vita non è abbastanza. Perché volere della lavanda in una grande città che così si impregna di smog? Certo se si tratta di un terrazzo si può giocare un po’ di più dato che il suo spazio circoscritto non contamina un paesaggio, ma bisogna sempre ragionare su cosa si sceglie di avere intorno a sé, perché poi bisognerà occuparsene.
E qui si apre un grande tema, come si cura un giardino?
MB: Confrontandosi con qualcuno di noi che ne sa di più e sperimentando. I contadini sono razza in via di estinzione, poeti della terra che devono farsi amica se vogliono trasformare le loro fatiche in un raccolto. E soprattutto con i giardinieri, a mio parere destinati a diventare le prossime superstar planetarie.
I giardinieri prenderanno il posto degli osannatissimi chef?
MB: Precisamente. Sono delle figure straordinarie che ti permettono di vivere delle esperienze che durano e si sviluppano nel tempo e non solo il tempo di un pranzo. Ogni volta che visito la scuola di giardinieri all’interno del Great Dixter House & Gardens in Inghilterra mi emoziono. Ammiro come riescono a coltivare le piante rispettandole, usando concimi organici e accogliendo gli insetti anziché scacciarli, perché il giardino è una cosa viva e la natura deve poterci entrare.